Te le hanno mai dette queste frasi?
E anche se credi che non ci sia nulla di strano in ciò che sei, che fai o che pensi, a volte rimane un sottofondo di malessere, un misto tra rabbia, senso di solitudine e tristezza perché non ti senti riconosciuta da chi ami o da chi credevi fosse simile a te.
E può capitare che quel senso di disagio non vada via e si trasformi in malumore, in un rimurginio di pensieri, di dubbi che ti porta a dire quei: “Ma Si, per una volta..forse sono io che esagero, dovrei essere più morbida, più tollerante”, fare quello che fanno tutti”.
Perchè essere considerata strana ti rende sola, un’aliena tra “normali” a meno che non incontri e cominci a frequentare gli “strani” come te e sentirti tu normale, in un mondo di alieni.
Perché la normalità non è un concetto assoluto ma relativo, si misura sugli effetti che produce su di te e sul mondo che contribuisci a costruire.
Ma essere “normali” cosa significa?
L’etimologia ci dice : seguire la norma, la regola, essere regolari.
Ma la norma, la regola di Chi?
Ci sentiamo normali quando scegliamo, ci comportiamo e pensiamo come la maggioranza: un lavoro, una relazione, un matrimonio, un modo di mangiare, un modo di dormire, un modo di fare le vacanze, un modo di vestire, ecc.
E in questa normalità ci sentiamo tranquilli, accettati, approvati, con la coscienza a posto. perchè abbiamo fatto proprio tutto per benino, così come ci si aspetta da una persona che ha seguito la regola decisa da chissà chi.
Ma spesso sotto questa normalità ribollono disordini, impulsi, istinti, desideri, voglia di buttare tutto all’aria, di rompere schemi e tradizioni, di disobbedire a valori e doveri.
Ma arriva la paura perchè dovremmo ammettere di essere diversi da come credevamo e appariremmo strani agli occhi degli altri e quindi “pericolosi”.
Meglio essere normali perché ci hanno detto che la normalità è sinonimo di equilibrio, di salute, di felicità.
Siamo sicuri?
C.G.Jung, diceva che molte persone diventano nevrotiche perché vivono nella normalità, altre sono nevrotiche perché non riescono a diventare normali.
E per essere normale, mi devo adattare.
Ma dovremmo chiederci: “A quale società, a quale politica, a quale economia, a quale ambiente, a quale lavoro, a quale relazione, posso adattarmi? C’è un livello di tolleranza? C’è un limite oltre il quale non posso andare”?
Vi riporto lo stralcio di un grande psicologo umanistico che pone delle domande.
𝘌’ 𝘯𝘰𝘳𝘮𝘢𝘭𝘦, 𝘦̀ 𝘴𝘢𝘯𝘰 𝘤𝘩𝘪 𝘵𝘳𝘢𝘥𝘪𝘴𝘤𝘦 𝘪𝘭 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘳𝘪𝘰 𝘵𝘢𝘭𝘦𝘯𝘵𝘰, 𝘪𝘭 𝘱𝘪𝘵𝘵𝘰𝘳𝘦 𝘯𝘢𝘵𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘴𝘪 𝘮𝘦𝘵𝘵𝘦 𝘢 𝘷𝘦𝘯𝘥𝘦𝘳𝘦 𝘤𝘢𝘭𝘻𝘦, 𝘭’𝘶𝘰𝘮𝘰 𝘪𝘯𝘵𝘦𝘭𝘭𝘪𝘨𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘤𝘩𝘦 𝘷𝘪𝘷𝘦 𝘶𝘯𝘢 𝘷𝘪𝘵𝘢 𝘣𝘢𝘯𝘢𝘭𝘦, 𝘤𝘩𝘦 𝘷𝘦𝘥𝘦 𝘭𝘢 𝘷𝘦𝘳𝘪𝘵𝘢̀ 𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘢𝘱𝘳𝘦 𝘣𝘰𝘤𝘤𝘢, 𝘪𝘭 𝘷𝘪𝘨𝘭𝘪𝘢𝘤𝘤𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘳𝘪𝘯𝘶𝘯𝘤𝘪𝘢 𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘳𝘪𝘢 𝘥𝘪𝘨𝘯𝘪𝘵𝘢̀, 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘦 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘦 𝘱𝘦𝘳𝘴𝘰𝘯𝘦 𝘱𝘦𝘳𝘤𝘦𝘱𝘪𝘴𝘤𝘰𝘯𝘰 𝘱𝘳𝘰𝘧𝘰𝘯𝘥𝘢𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘥𝘪 𝘢𝘷𝘦𝘳 𝘧𝘢𝘵𝘵𝘰 𝘵𝘰𝘳𝘵𝘰 𝘢 𝘴𝘦 𝘴𝘵𝘦𝘴𝘴𝘦, 𝘦 𝘱𝘦𝘳𝘵𝘢𝘯𝘵𝘰 𝘴𝘪 𝘥𝘪𝘴𝘱𝘳𝘦𝘻𝘻𝘢𝘯𝘰?
𝘌𝘴𝘴𝘦𝘳𝘦 𝘢𝘮𝘮𝘢𝘭𝘢𝘵𝘪 𝘴𝘪𝘨𝘯𝘪𝘧𝘪𝘤𝘢 𝘧𝘰𝘳𝘴𝘦 𝘢𝘤𝘤𝘶𝘴𝘢𝘳𝘦 𝘴𝘪𝘯𝘵𝘰𝘮𝘪?
𝘌𝘣𝘣𝘦𝘯𝘦 𝘴𝘰𝘴𝘵𝘦𝘯𝘨𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘭𝘢 𝘮𝘢𝘭𝘢𝘵𝘵𝘪𝘢 𝘱𝘶𝘰̀ 𝘤𝘰𝘯𝘴𝘪𝘴𝘵𝘦𝘳𝘦 𝘯𝘦𝘭 𝘯𝘰𝘯 𝘢𝘤𝘤𝘶𝘴𝘢𝘳𝘦 𝘢𝘭𝘤𝘶𝘯 𝘴𝘪𝘯𝘵𝘰𝘮𝘰 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘴𝘪 𝘥𝘰𝘷𝘳𝘦𝘣𝘣𝘦 𝘢𝘤𝘤𝘶𝘴𝘢𝘳𝘭𝘰. 𝘌 𝘭𝘢 𝘴𝘢𝘭𝘶𝘵𝘦, 𝘴𝘪𝘨𝘯𝘪𝘧𝘪𝘤𝘢 𝘦𝘴𝘴𝘦𝘳𝘦 𝘱𝘳𝘪𝘷𝘪 𝘥𝘪 𝘴𝘪𝘯𝘵𝘰𝘮𝘪?
𝘘𝘶𝘢𝘭𝘪 𝘥𝘦𝘪 𝘯𝘢𝘻𝘪𝘴𝘵𝘪 𝘥𝘪 𝘈𝘶𝘴𝘤𝘩𝘸𝘪𝘵𝘻 𝘰 𝘢 𝘋𝘢𝘤𝘩𝘢𝘶 𝘦𝘳𝘢 𝘪𝘯 𝘣𝘶𝘰𝘯𝘢 𝘴𝘢𝘭𝘶𝘵𝘦? 𝘘𝘶𝘦𝘭𝘭𝘪 𝘤𝘰𝘯 𝘭𝘢 𝘤𝘰𝘴𝘤𝘪𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘵𝘰𝘳𝘮𝘦𝘯𝘵𝘢𝘵𝘢, 𝘰 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘪 𝘭𝘢 𝘤𝘶𝘪 𝘤𝘰𝘴𝘤𝘪𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘢𝘱𝘱𝘢𝘳𝘪𝘷𝘢 𝘭𝘰𝘳𝘰 𝘤𝘩𝘪𝘢𝘳𝘢, 𝘭𝘪𝘮𝘱𝘪𝘥𝘢, 𝘴𝘦𝘳𝘦𝘯𝘢? 𝘐𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘤𝘰𝘯𝘥𝘪𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦, 𝘶𝘯𝘢 𝘱𝘦𝘳𝘴𝘰𝘯𝘢 𝘱𝘳𝘰𝘧𝘰𝘯𝘥𝘢𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘶𝘮𝘢𝘯𝘢 𝘦𝘳𝘢 𝘱𝘰𝘴𝘴𝘪𝘣𝘪𝘭𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘢𝘷𝘷𝘦𝘳𝘵𝘪𝘴𝘴𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘧𝘭𝘪𝘵𝘵𝘰, 𝘴𝘰𝘧𝘧𝘦𝘳𝘦𝘯𝘻𝘢, 𝘥𝘦𝘱𝘳𝘦𝘴𝘴𝘪𝘰𝘯𝘦, 𝘧𝘶𝘳𝘪𝘢 𝘦 𝘤𝘰𝘴𝘪̀ 𝘷𝘪𝘢?
𝘐𝘯 𝘶𝘯𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘰𝘭𝘢, 𝘴𝘦 𝘮𝘪 𝘥𝘪𝘳𝘦𝘵𝘦 𝘥𝘪 𝘢𝘷𝘦𝘳𝘦 𝘶𝘯 𝘱𝘳𝘰𝘣𝘭𝘦𝘮𝘢 𝘥𝘪 𝘱𝘦𝘳𝘴𝘰𝘯𝘢𝘭𝘪𝘵𝘢̀, 𝘱𝘳𝘪𝘮𝘢 𝘥𝘪 𝘢𝘷𝘦𝘳𝘷𝘪 𝘤𝘰𝘯𝘰𝘴𝘤𝘪𝘶𝘵𝘰 𝘮𝘦𝘨𝘭𝘪𝘰 𝘯𝘰𝘯 𝘴𝘢𝘳𝘰̀ 𝘢𝘧𝘧𝘢𝘵𝘵𝘰 𝘤𝘦𝘳𝘵𝘰 𝘴𝘦 𝘥𝘰𝘷𝘳𝘰̀ 𝘥𝘪𝘳𝘷𝘪 ‘𝘣𝘦𝘯𝘦’! 𝘖 𝘪𝘯𝘷𝘦𝘤𝘦 ‘𝘮𝘪 𝘥𝘪𝘴𝘱𝘪𝘢𝘤𝘦’. 𝘋𝘪𝘱𝘦𝘯𝘥𝘦 𝘥𝘢𝘭𝘭𝘦 𝘳𝘢𝘨𝘪𝘰𝘯𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘮𝘪 𝘱𝘰𝘳𝘵𝘦𝘳𝘦𝘵𝘦. 𝘌 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘦, 𝘢 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘵𝘰 𝘱𝘢𝘳𝘦, 𝘱𝘰𝘴𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘦𝘴𝘴𝘦𝘳𝘦 𝘤𝘢𝘵𝘵𝘪𝘷𝘦, 𝘰𝘱𝘱𝘶𝘳𝘦, 𝘪𝘯𝘷𝘦𝘤𝘦, 𝘰𝘵𝘵𝘪𝘮𝘦”.
(A.H.Maslow, Verso una psicologia dell’essere).
Possiamo ripensarla, la normalità, verificando come la stiamo vivendo sulla nostra speciale e unica “pelle”.