La prima fu Medea. Come ci racconta il mito greco: uccide i figli per punire e vendicarsi dell’amato ma ingrato e traditore, Giasone.

La psicologia per descrivere il fenomeno degli infanticidi da parte materna(v.nota), ha ripreso il mito e ha chiamato
“Sindrome di Medea” (Jacobs 1988), un quadro clinico in cui una madre in tensione oppositiva nei confronti del suo partner, riversa sul figlio/a tutta la sua collera fino all’omicidio il cui scopo non è uccidere il figlio ma punire il padre.

E l’ultimo di questi giorni ha scatenato nuovamente commenti, giudizi e dibattiti di vario tipo. Chi incita all’ergastolo, chi al ripristino della pena di morte. C’è chi invece è mosso da compassione per il dolore ma rischia di passare per buonista che giustifica il crimine. Perché se la vittima è un minore e l’assassino la madre, si scatena un vero e proprio giustizialismo.

E proliferano spiegazioni psicoanalitiche, analisi psichiatriche per tentare di rassicurare la collettività che la scienza sa cosa accade, che la legge renderà giustizia e che noi possiamo stare tranquilli perché queste cose accadono solo agli altri.

Ma è evidente a tutti ormai che le spiegazioni razionali, seppur utili non cambiano le reazioni esagerate e i comportamenti distruttivi.

Allora – fatta questa premessa – senza fare tentativi di psicoanalisi e nel rispetto della sofferenza di due sistemi familiari della vittima e del carnefice, parti di uno stesso tragico destino, provo a fare una riflessione per cercare di portare un po’ di luce nei meandri bui della maternità coperti ancora da tabù, resistenze e rimozioni.

Il misticismo della maternità.
E’ un fatto (che tutti gli psicologi, psichiatri e psicoterapeuti verificano di continuo) che la maternità presenti aspetti ambivalenti e oscuri. Non è sempre e non per tutte quell’esperienza esaltante, gioiosa e gratificante che molti raccontano.

Ho notato personalmente che nel momento in cui la donna si fa madre, affiorano sofferenze e paure già preesistenti, latenti e invisibili e che si manifestano come incubi, paure, ossessioni e alterazione nell’equilibrio della personalità.

Riscontro spesso che anche il rapporto di coppia va in crisi dopo la nascita di un figlio, non solo perché sconvolge ritmi e abitudini ma perché spesso si proiettano sui figli i conflitti irrisolti con i propri genitori, i vissuti infantili, le paure, i traumi e le esperienze raccontate di altri, abbandoni e maltrattamenti subiti, lutti non elaborati, ma anche ideali e aspettative disattese, ambizioni non realizzate.

Sembra però un tabù parlare dei risvolti difficili della maternità soprattutto nella nostra civiltà occidentale nella quale una donna per essere accettata deve essere perfetta, completa, efficiente e performante. Perfetta figlia, moglie, madre, nuora, collega, professionista, amica. La maternità diventa una tappa obbligatoria, un obbligo sociale e culturale, una tacca da aggiungere nel percorso di una vita di successo; il tassello che manca per sentirsi veramente una femmina riuscita.

Si è creato un misticismo della maternità sempre e comunque buona, generosa, gentile, comprensiva. Non ti puoi permettere dubbi, né ombre, né pensieri di stanchezza, né sentimenti di rabbia o di frustrazione. Per non parlare della forma fisica per cui bisogna tornare in breve tempo magra, atletica e seducente. Né puoi esprimere la voglia di leggerezza o di libertà, altrimenti sei esposta alla gogna del giudizio morale e della condanna da parte della collettività. Soprattutto femminile.

Perché lo sappiamo che le critiche più feroci provengono dalle altre donne.

Quando poi l’esperienza è diversa da quella che si immaginava, emergono le crisi depressive, i sensi di colpa, di inadeguatezza, desideri di libertà, di tornare al passato, pentimenti di cui la donna non parla e non confessa nemmeno a se stessa.

Ma molte donne non hanno l’istinto materno, almeno quello biologico. Sono ugualmente donne di valore che possono realizzare il loro progetto di natura anche senza riprodursi e diventare madri psichiche generando progetti, accudendo una comunità, soddisfacendo bisogni collettivi.

Le ombre della maternità.
Ci sono tanti tipi di madri e non sempre “equilibrate e positive, nutrienti e generose”.

Ci sono le madri ansiose che vedono il pericolo ovunque, quelle assenti emotivamente. Ci sono quelle che abbandonano, quelle depresse, le misogine che odiano le figlie in quanto femmine e impediscono loro di coltivare ambizioni e sogni; quelle che si lamentano e fanno sempre le vittime che ricattano e che invadono la vita del figlio maschio pretendendolo come sostituto del proprio padre o del marito; le narcisiste manipolative il cui figlio deve soddisfare le ambizioni non realizzate; quelle che lo ipervalutano facendone un simbolo, una proiezione del loro successo personale che lo giustificano sempre e comunque. Quelle ossessive che perseguitano con il dovere e l’impegno; le svalutanti sempre e comunque, sempre deluse e scontente della vita. Ci sono le madri complici degli abusi sessuali che rimangono silenziose ad osservare i maltrattamenti verso le figlie perpetrati da padri, amanti e nonni e rimangono a guardare per timore a loro volta di essere punite, escluse, maltrattate o abbandonate.

Non è vero forse che le motivazioni delle nostre infelicità e insoddisfazioni sono quasi sempre attribuite al rapporto con i genitori e in particolare con la madre? E che la psicologia, la psicoterapia e la psicoanalisi non fanno altro che occuparsi delle conseguenze di un’educazione impropria e di sistemi familiari conflittuali?

E i padri?

Ci sono anche loro, spesso con la loro assenza e con il loro infantilismo. Ma vorrei ricordare che un uomo, un maschio lo costruisce la madre e le donne della famiglia. Con il loro modo di amare e di educare. E che ci portiamo dietro una rabbia atavica, una svalutazione e un disprezzo verso il maschile che si rivela nei figli e nelle nostre storie sentimentali.

Prendiamocela questa responsabilità di essere complici in ciò che poi subiamo perchè in questa responsabilità c’è la via per la nostra liberazione interiore e successo esistenziale.

Allora, questi aspetti della maternità esistono e dobbiamo prenderne atto senza rifiutarli, condannarli o fuggendo dalla paura che incutono. Sono realtà, ma anche “etichette” che bisogna superare prendendo atto che a volte siamo mossi da forze più grandi e invisibili che non possono essere razionalizzate o comprese con i criteri cosiddetti scientifici.

I bambini amano i loro genitori anche se li maltrattano.
La violenza e gli infanticidi ci sono sempre stati.

Le botte, le punizioni corporali, l’essere rinchiusi al buio, rimanere senza cibo, essere sfruttati nel lavoro, le violenze sessuali e psicologiche, le aggressioni verbali e le umiliazioni. Solo che ora se ne parla di più e questo è un bene anche se spesso si spettacolarizza la tragedia con lo sciacallaggio fatto dai media.

Oggi ogni maltrattamento verso un minore è riconosciuto come un reato, punibile dalla legge. Ma la legge, le punizioni e le condanne non hanno mai riabilitato o trasformato nessuno. Servono per dare la percezione di una giustizia terrena e forse anche karmica che tranquillizza le vittime e forse anestetizza la coscienza collettiva.

Ci sono ancora tanti maltrattamenti che rimangono sommersi e nascosti dentro i sistemi familiari di ogni estrazione sociale e culturale proprio perché riguardano i movimenti della coscienza familiare e collettiva, realtà psico- genealogiche che esulano dalla comprensione culturale.

Ci sono ancora oggi bambini maltrattati che non parlano, atterriti, silenziosi, omertosi che presentano lividi, contusioni, ferite causate proprio da quella madre che ha dato loro la vita. Bambini che subiscono in silenzio e imparano a soffrire per mano di chi amano di più.

Ma non parlano non solo perché hanno paura di essere puniti ma perché hanno paura di perdere l’amore della mamma, di non vederla più. Fedeli ad un amore fino al sacrificio estremo.

Perché si muore d’amore e per amore, non è cosi che ci hanno sempre detto?

Tutto si fa per amore.
Allora bisognerebbe guardare oltre i fatti, oltre il giudizio, oltre la condanna e come dice Bert Hellinger, fondatore delle Costellazioni familiari spirituali, bisogna scoprire l’amore dietro il dolore per guarire veramente.

Scoprire l’amore dietro un crimine, dietro una tragedia non significa perdonare o giustificare.

Perché il perdono è un atto di arroganza, giustificare è un rendersi complici e lo sdegno è un modo per sentirsi moralmente migliori e superiori. E l’aggressore dovrà accettare la sua punizione e pagare tutto il peso della sua colpa.

Ma dobbiamo ammettere che l’amore non è solo quello romantico, quello che fa del bene, che nutre, che protegge, l’amore con i cuoricini.

L’amore è un’energia grande che ci coinvolge e ci sconvolge e questa energia spesso prende la forma dai pensieri, dalle fantasie, dalle paure e dalle memorie nostre e di altri, da rimozioni e negazioni, dai legami e conflitti irrisolti, dai nostri ideali e dalle personali identificazioni.

L’amore è anche fedeltà nella malattia, nella sofferenza, nella rabbia vendicativa, nell’ingiustizia, nella povertà, nel dolore, nella passione e nella dipendenza patologica. L’amore porta a uccidere e a suicidarsi.

L’amore è una forza che conduce verso la vita, la libertà, il successo ma anche verso la disgrazia, il fallimento, il dolore. Noi possiamo soltanto osservare cosa accade nella nostra vita, come stiamo vivendo quest’amore, dove ci sta conducendo, possiamo verificare se produce vita, forza, gioia, abbondanza oppure no. Solo allora, con consapevolezza possiamo decidere di cambiare il modo, la direzione e lo scopo.

Ci illudiamo di avere il libero arbitrio. Ma la nostra coscienza non è libera o lo è solo in parte. La realtà è che ripetiamo spesso storie e sentimenti non nostri. Come se fossimo esecutori inconsapevoli di vite, di sogni e di desideri altrui, di coloro che abbiamo amato o odiato, conosciuti o sconosciuti. Siamo “irretiti”, siamo dentro incantesimi, in risonanza con qualcuno invisibile alla ragione e viviamo e trasmettiamo una catena nera di sofferenze, di lutti, di morte, di frustrazioni e di sacrifici.

Possiamo uscirne?
Si, con il coraggio di guardare e attraversare il buio dentro di noi, di entrare dentro la tragedia, dentro il dolore e portare la luce della consapevolezza e della trasformazione.

Abbiamo bisogno di ritrovare la pace dentro di noi e di chiudere definitivamente, con amore, compassione e comprensione tutte le questioni che sono rimaste in sospeso nel nostro sistema familiare.

E fare la pace tra di noi, tra femmine. E riconciliarci con gli uomini dissociandoci dalla rabbia e dalla frustrazione vissute dalle donne venute prima di noi per darci la possibilità di costruire una società che faccia respirare l’anima di futuro, di bellezza, di vita, di gioia, di libertà.

Una madre è prima di tutto una donna che ha il diritto e il bisogno di sentirsi felice, realizzata ma soprattutto libera dalla storia di altre. E’ questo l’esempio e il dono che può trasmettere. Perché un figlio non appartiene ai genitori, appartiene alla Vita e ha il diritto di vivere libero di essere a modo suo.

E’ nella donna la chiave della trasformazione. Da lei può iniziare un vero risveglio e una profonda catarsi collettiva.
Oggi abbiamo le possibilità, le conoscenze e gli strumenti per farlo. E’ un impegno ma anche un grande atto d’amore per chi viene dopo.

Concludo con questa frase che è il leitmotiv della mia vita e della mia professione:
“Quando una donna decide di guarire se stessa, si trasforma in un’opera di amore e compassione che non guarisce solo se stessa ma tutta la sua discendenza”.
(Bert Hellinger).

 

NOTA. Ci sono anche i figlicidi da parte di padre. Un bambino ucciso ogni due settimane. Con meno di 12 anni. Il 56,8% sono maschi e il 43,7% femmine. Nella maggior parte dei casi l’autore dei figlicidi è il padre. Ma la percentuale si capovolge nella fascia 0-5 anni quando sono le madri a risultare le autrici prevalenti. Quasi tutti  attribuiti a disturbi psichici. (fonte Eures 2022).

Per approfondimenti:
Marina Valcarenghi, Mamma non farmi male. Marina Valcarenghi, L’aggressività femminile. 
Bert Hellinger, Gli Ordini dell’amore. Bert Hellinger, L’amore dello spirito.
Anne Schutzenberger, La Psicogenealogia.
Gabriele Policardo, Io sono d’Oro. Il valore della donna nella relazione.