“Tutti nasciamo in un’anima comune, in un campo di coscienza che condividiamo con i membri della nostra famiglia. Quest’anima va al di là del nostro corpo e ci unisce profondamente a tutti coloro che, insieme a noi, appartengono a quest’anima. Spesso diventano  il nostro destino già nel grembo materno”.

(Bert Hellinger, La guarigione)

 

Oggi è l’ennesima giornata Internazionale contro la violenza sulle donne.

E’ aumentata la coscienza femminile grazie alla cultura e alle campagne di sensibilizzazione.  Mostre fotografiche, eventi culturali, dibattiti televisivi, inchieste giornalistiche, manifestazioni, inaugurazione di panchine rosse, esposizioni di scarpe con tacchi a spillo, diagnosi psichiatriche e criminologiche, appello a nuove leggi. Tutto un bla bla bla, ma nei fatti è cambiato poco. E in tutti questi dibattitti non ho mai sentito nominare la famiglia, sia della vittima che del carnefice.

Quando si sa ormai da decenni che il futuro delinquente è sempre segnato e caratterizzato da un certo modo di affettività preferenziale durante l’infanzia, soprattutto da parte della madre. Perché è nel contesto familiare che va rintracciato il riferimento affettivo di un bambino dai tre ai nove anni.

Ma sempre colpa delle madri? – Direte.

Non colpa ma responsabilità si.  Perché la maternità è connessa con un grande potere: quello di trasmettere la vita e insieme ad essa, un’ identità, un modo di amare, di percepire il mondo e l’amore. Perché la madre ha la potenzialità di cambiare gli uomini e costruire una nuova civiltà.

Perché la madre è prima di tutto una femmina che spesso si porta dietro la rabbia e la frustrazione di tutte le donne che l’hanno preceduta. Un essere contro il maschio che per secoli l’ha umiliata, tradita, sfruttata, maltratta e uccisa.

E nonostante oggi ci sia l’occasione per realizzare se stesse, per essere libere e vivere l’amore in modo paritario, in molte agisce inconsciamente il vecchio schema e gli antichi dolori.

Ad ogni  nuova violenza reagiamo sempre nello stesso modo: rabbia e indignazione contro il mostro che è là fuori e non riguarda me.

Vorrei però ricordare che quando si parla di violenza non dobbiamo limitarci solo alla violenza fisica o sessuale.

La violenza è prima di tutto psicologica:  parole offensive, umiliazione,  ricatto, dipendenza e sfruttamento economico forzato e imposto. E’ la persecuzione dello stalcker, è la gelosia ossessiva e  possessiva  che limita la libertà individuale.

La violenza è il sesso imposto o subìto all’interno di un rapporto di coppia consolidato. La  permettiamo noi quando diciamo sempre si senza ribellarci, quando permettiamo il controllo del comportamento e del pensiero. Quando non ascoltiamo i nostri bisogni e i segnali del corpo, quando ci svalutiamo esteticamente e mentalmente. quando ci sacrifichiamo o  sopportiamo per paura della reazione altrui, per paura dell’abbandono, della solitudine.

E l’elenco sarebbe lunghissimo.

Oggi sappiamo tutte le cause culturali, economiche, sociali, psicologiche, politiche, giuridiche. Ma sapere non significa guarire e soprattutto non sostituisce l’azione.   Così come un fumatore accanito anche se sa che il fumo fa male non  smetterà di fumare, così una donna che è infelice in un rapporto di coppia, questo sapere non la aiuterà a  riprendersi la propria libertà. Perché?

Perché la volontà di cambiare e la motivazione ad intraprendere un nuovo comportamento è bloccata.

Il blocco è come un incantesimo che paralizza perché non viene visto.

E le donne perseguitate, minacciate che poi vengono uccise sono tutte dentro un incantesimo. Non vedono la realtà, o se la vedono non la vogliono riconoscere:  giustificano, perdonano, difendono, accolgono, coccolano, consolano il loro carnefice.

La loro mente è come limitata,  il loro ragionare è offuscato da una nebbia fitta o un buio che non permette loro di guardare le cose come stanno veramente.  E non c’è niente da fare per loro perché più si insiste a farle ragionare, più loro si ostinano a rimanere così come sono. E se avvertono che tu non le capisci, smettono di parlare perché non vogliono più essere criticate. E fanno rabbia quando ci parli, perché si avverte un’ostinazione, una fedeltà che tu non comprendi.

Fino a che non si guarda il tutto da un altro punto di vista. Cioè quello dell’anima e si apre il significato di ciò che Bert  Hellinger,  fondatore del metodo delle Costellazioni familiari chiama “irretimento”.

E’ un modo di guardare  e di accogliere che fa superare la dicotomia vittima lei e mostro lui.

L’irretimento è l‘identificazione con il destino, con l’identità di qualcun altro. E’ una forza attrattiva che ci conduce verso una direzione non nostra, ci fa sentire prigionieri in una vita non nostra.

Malattie, fallimenti economici, depressioni, conflitti familiari hanno sempre un nome che va rintracciato nell’interno familiare.

Cosi vale anche per la violenza e il femminicidio.

Per disinnescare queste dinamiche bisogna  indagare nel campo spirituale e guardare alle violenze avvenute nel nostro sistema familiare che possono risalire anche a generazioni indietro. Violenze tenute segrete, dimenticate, nascoste che  fanno realtà e sono operative nell’inconscio familiare.

Ma questo lavoro fa paura e allora si cerca il capro espiatorio esterno in modo che condannando il mostro, spostiamo fuori ciò che non vogliamo riconoscere dentro.

Ma ciò che combattiamo e che rifiutiamo viene potenziato e si ripete infinitamente. Perché in fondo, tutto è mosso da un’energia d’amore, per fedeltà ad un amore che poi diventa un destino di sofferenza e di morte.

La violenza è un legame, una passione tra due persone.

Prima dell’aggressione o un maltrattamento  la donna ha visto, avvertito, sentito il pericolo ma non l’ha voluto o potuto riconoscere. Il suo grande sbaglio o superficialità è non correre a fare un profondo lavoro interiore.

E chiedersi:

Perché un uomo violenta o picchia una donna invece di un’altra?

Perché aggredisce verbalmente una donna ma non si permette di farlo con un altra?

Perché mi sono innamorata di lui  e non di altri?

Perchè ho scelto proprio quest’uomo che mi maltratta?

Perché gli perdono sempre tutto? Perché nonostante le minacce e le botte ancora rimango con lui? Perché credo sempre alle sue scuse?

Perché  l’ho scelto, l’ho sposato, l’ho subìto, l’ho perdonato, l’ho riaccolto in casa, gli ho dato altre chance e opportunità?

Dov’è la mia responsabilità?

Chi sto amando in realtà?

Poi c’è l’uomo che incontra quella donna e non un’ altra. Anche lui si innamora di lei. Non a caso.

Sa nel profondo di se stesso che lei ha un atteggiamento che gli permetterà di agire quello che sono i suoi rimossi inconsci e che sarà compreso, accudito, perdonato.

Anche lui ha la sua responsabilità: non vuole ricercare le ragioni della sua rabbia, della sua insoddisfazione, della sua violenza. I due si incontrano e si scelgono  inconsapevolmente per mettere in atto il copione vittima/carnefice.

Non sanno di essere subcondotti da una dinamica di altri, sono tutti e due il prodotto e la manifestazione di storie familiari, di drammi e segreti che si incrociano.

Il mostro che uccide e la vittima sono legati da un patto invisibile che programma il loro incontro, la loro attrazione reciproca, le loro azioni e reazioni. E da questo incontro scaturisce un amore malato, una dipendenza di cui nessuno dei due può liberarsi finchè non vengono rintracciati, visti e risolti i legami invisibili che li legano ad un destino di sofferenza e di morte.

Le costellazioni familiari in particolare, unite e integrate ad un percorso di crescita e di consapevolezza aiuta a sciogliere e rilasciare i blocchi energetici e le fedeltà o patti inconsci che poi diventano un destino.

Oggi ritengo inefficaci celebrazioni, manifestazioni e panchine rosse o leggi più severe. Non abbiamo più alibi perché c’è un’offerta ampia di aiuti, metodi, informazioni, organizzazioni che offrono nuove vie di soluzione e liberazione.

Oggi è possibile aiutare e favorire percorsi di consapevolezza, di conoscenza, di  trasformazione  affinchè i genitori per primi si liberino dei propri traumi personali ereditati  e liberare i propri figli dai personali fardelli senza dover ripetere il  destino di chi è venuto prima di loro.

Quando vivi una relazione che diventa pericolosa, tu e la tua famiglia dovete correre, correre, correre non solo a denunciare ma a rivolgervi ad un professionista che favorisca una presa di coscienza sulle dinamiche d’amore e di relazione e interrompere una dinamiche e un’eredità che portate avanti inconsapevolmente.

La responsabilità di ciò che accade è solo vostra.  Dovete farvene carico pienamente perché non c’è nessun principe azzurro che verrà a salvarvi, nè giudice che vi renderà giustizia, nè panchina rossa che vi consolerà.

Il potere è nella vostra capacità di amare, ma come amate va verificato, guardato, riconosciuto e se provoca dolore, morte, sacrificio o oppressione, con gratitudine va lasciato andare.