Ultimamente sto incontrando giovani, dai 12 ai 19 anni. Sono portati in terapia dai genitori preoccupati perché li vedono strani, sofferenti, arrabbiati. E dopo un momento di sospetto e di resistenza, questi giovani confidano le loro paure, la loro insicurezza.

Avverto la viva sofferenza della loro anima che cerca ascolto, comprensione e una via di uscita da un dolore che non riescono a spiegare.

Aldilà dei noti “imprinting” familiari che ogni psicoterapeuta riconosce, agisce fortemente l’ambiente che massifica, spaventa, condiziona, impone regole, identità da imitare, in cui identificarsi per chi vuole essere “vincente” e fuori da queste regole non sei niente.

Osservo questi giovani che si avvicinano, si conoscono, si organizzano, fanno amicizia attraverso le loro maschere, i loro copioni. Escono dalle loro famiglie per conoscere se stessi, vogliono sperimentarsi attraverso il confronto con gli altri per scoprire la loro unicità. Ma vengono invasi da stimoli, da richieste a diventare ciò che non sono, innescando paure, dubbi, sentimenti di inadeguatezza mimetizzati con comportamenti superficiali,nascosti dietro sorrisi falsi e forzati.

Se qualcuno prova a dire: “Sto male, non ce la faccio più”- la risposta dei coetanei è spesso di scherno: “Che cretino! Ma fatti uno spinello!”.

Così si banalizza il vissuto interiore affinchè il giovane sensibile e diverso, ritorni scemo come gli altri, cioè vuoto dentro, senza alcuna attività di pensiero, di introspezione. Così quando si riuniscono, ognuno di loro viene sottratto e si sottrae alla propria interiorità.

La maggioranza di questi giovani vuole essere alla moda, internazionale, libera non sapendo che sono merce di un mercato che costruisce il business attorno a loro, con quel tipo di musica, di moda, di fumo, di bere, di comportamenti, di abitudini, di linguaggio. E sono merce che non cresce, che non si evolve perché i “mercanti di schiavi” hanno interesse che consumino la loro personalità.

Tutto il consumismo è il consumismo della personalità.

E gli adulti? E i genitori? Stanno a guardare, merce anche loro. E osservano questi figli che potrebbero avere in mano la vita e non lo fanno, e potrebbero avere tutto e non fanno niente e vedono in loro la loro colpa personale ormai sconfitti dalla loro storia.

E chi non ha costruito si ritrova invecchiato precocemente più che nel fisico nell’anima, e non aspetta altro che la pensione per ritirarsi da quella vita non vissuta che lo chiama e che ancora urla.

A questo punto, è inutile fermarsi a dare colpe. Possiamo iniziare da ora, da subito a rompere gli schemi, ognuno per proprio conto ritornando alla propria interiorità.

Oggi più che mai, ritengo indispensabile percorsi psicoterapeutici esistenziali per uscire dall’alienità imperante, per riprendere quell’elàn vital della nostra umanità.

Per imparare ad esercitare la ribellione, la disobbedienza, per portare nel mondo il nostro scandalo, cioè esercitare e manifestare, storicizzare la nostra unicità, la nostra vera e autentica personalità.

E lo ritengo necessario per i giovani, quei pochi ma diversi ancora vivi. E per quei genitori che hanno il coraggio di mettersi in discussione e che possono offrire ai propri figli l’opportunità di una liberazione, di una crescita personale che non hanno potuto o voluto fare loro.