L’hanno recentemente definita “nomofobia” (no-mobile-phone-phobia), cioè la paura incontrollata di rimanere sconnessi con la rete che provoca sensazioni simili a quelle di un attacco di panico (mancanza di respiro, tremori, vertigini, battito cardiaco accelerato, ecc.). Un esperimento sociale andato in onda qualche mese fa su una delle reti Mediaset ha dimostrato come tra le tante persone invitate, soltanto un ragazzo ha accettato di rimanere qualche ora senza il cellulare, confessando le proprie ansie e rivelando i sintomi  di astinenza.

E’ un dato ormai certo: l’utilizzo eccessivo dello smartphone provoca dipendenza psicologica e della peggiore specie.  E’ simile ad una droga perché causa interferenze nella produzione della dopamina, il neurotrasmettitore che regola il circuito celebrale della ricompensa, incoraggiando le persone a svolgere attività che credono daranno loro piacere. Si cade in una forma di catalessi e si finisce per estraniarsi da tutto ciò che ci circonda. Si passano ore ed ore a controllare  il proprio account, a scambiare foto e messaggi o a giocare con l’app. del momento, in ogni istante della giornata, fino a notte fonda, a qualsiasi ora, da soli o in compagnia. In Cina hanno addirittura realizzato corsie preferenziali per chi usa lo smartphone mentre cammina.

Le persone che lo utilizzano per più di 8 ore, presentano: disturbi del sonno, accumulo di peso corporeo, aggressività, depressione, ansia patologica, patologie della colonna vertebrale a causa della postura china del collo, perdita della concentrazione e della memoria, distacco e  alienazione sociale, disinteresse per gli impegni e le relazioni sociali.  Inoltre manifestano quella che viene definita“trance dissociativa da videoterminale” perché oltre all’isolamento, vivono veri e propri fenomeni dissociativi: non distinguono più la vita virtuale da quella reale ed entrano nella psicopatologia.

Anche se le ricerche più recenti contano quasi 176 milioni di dipendenti dallo smartphone, il fattore più allarmante è che uno studio  appena pubblicato dalla Pew Foundation, rivela come il 73% degli adolescenti di età compresa tra i 13 e 17, negli USA, ne possiede uno, il 92% di questi dichiara di accedere online ogni singolo giorno, mentre il 30% ammette di essere “costantemente connesso”. I più lo usano senza filtri, con quell’ingenuità che li espone a pericoli di ogni sorta (dalla pedofilia al cyberbullismo).

E l’Italia non è da meno. Sotto il bombardamento delle strategie di marketing, si stanno mettendo in commercio tablet e smartphone per i bambini che saranno di certo acquistati dai loro genitori a loro volta dipendenti e forti sostenitori del precoce possesso, ormai arresi a stereotipi, mode e miti consumistici. Sono loro che comprano, per controllare l’ansia da distacco e la vita dei figli come una sorta di “guinzaglio telematico” di cui sono inconsapevolmente agganciati loro stessi per proteggersi da personali disagi psicologici, insicurezza e  senso di solitudine ( R. Carlini e G. Cozzolino).

E’ possibile una cura e una prevenzione? Sicuramente si. Partendo dall’informazione nelle scuole, per studenti e genitori, dalla progettazione di percorsi educativi che riscoprano e facciano sperimentare una diversa connessione, molto più coinvolgente: quella con il proprio corpo, con le proprie sensazioni, emozioni e sentimenti. E che incoraggino la partecipazione alla vita “reale” attraverso esperienze vissute in prima persona.